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L'alluvione del settembre del 1900

Dopo l'alluvioneEsattamente 117 anni fa, tra il 25 ed il 27 settembre 1900, si abbatteva sul Ponente Ligure una delle più terribili alluvioni che la storia della nostra città ricordi. Nel disastro morirono alcune persone, tra cui l’ex Sindaco di Savona Giovan Battista Berlingieri. Una tragedia che lasciò il segno e che sarebbe stata ricordata per decenni in tante famiglie savonesi. Nell’anniversario (ed avendo ancora negli occhi le immagini della piú recente alluvione del 1992), rievochiamo quel catastrofico evento, a monito perenne per il futuro. Perché in un territorio come il nostro, il rischio di simili calamità non potrà mai dirsi – forse – totalmente scongiurato. E, dunque, si dovrà sempre stare in guardia: per questo, soprattutto, è utile ricordare il passato.
L’estate del 1900 era stata terribilmente calda ed arida. Non era mai piovuto, nemmeno una volta. Durante la primavera precedente, poi, le precipitazioni erano state pressoché nulle. Una situazione simile, su questo tutti erano d’accordo, a lungo andare non avrebbe potuto che avere conseguenze disastrose. Nel mese di agosto, i commenti della gente, in città, cominciarono ad essere improntati alla preoccupazione: sui giornali si parlava ormai apertamente dei problemi che la siccità avrebbe finito per causare all’agricoltura. Alla fine, com’era prevedibile, dopo tanto attendere, l’acqua cominciò a scendere dal cielo in maniera rovinosa. Il 23 agosto, le vallate di Quiliano, Zinola e Vado furono devastate da una serie di piogge torrenziali che arrecarono gravissimi danni alle campagne. Ma il peggio doveva ancora venire. Appena un mese dopo, tra il 25 ed il 27 settembre, tutto l’entroterra savonese fu colpito da una delle più terribili e tragiche alluvioni della sua storia. Un evento che avrebbe lasciato un segno profondissimo in tante famiglie e che sarebbe stato ricordato a lungo nei decenni successivi.
Per ricostruire quei drammatici eventi ci siamo basati sulle cronache puntuali e precise pubblicate in quei giorni dai giornali savonesi di quel tempo: “Il Letimbro”, “L’Indipendente” e “Il Cittadino”.
Per tutta la giornata del 24 settembre il cielo, a Savona, era stato cupo e nuvoloso; i venti, soffiando forte da Sud Est, avevano fatto sì che il mare fosse incredibilmente mosso ed agitato. Poi, all’improvviso, la mattina del martedì 25 settembre, un tremendo temporale si abbatté su tutta la Riviera. La pioggia, accompagnata da lampi, tuoni e fulmini, si riversò copiosamente per alcuni giorni su tutto il Ponente Ligure, con una furia davvero eccezionale. Dopo poche ore di pioggia molti torrenti finirono per straripare, allagando le campagne, gli orti e i terreni coltivati, causando frane e bloccando un gran numero di strade e di vie di comunicazione in Riviera e nell’entroterra. Straripò il Bormida a Cairo e a Dego, uscirono dagli argini quasi tutti i torrenti a Finale e a Pietra Ligure, a Stella, a Ellera, a Vado, ad Albisola, devastando cascinali, asportando tratti di strade e di ponti, trascinando con sé, nella furia della piena, carogne di animali, tronchi d’albero, masserizie, tutto ciò che le acque riuscivano a portare con sé nella loro spaventosa corsa verso il mare. Molte case, poste sulle pendici delle colline, crollarono, travolte dalle frane o indebolite nelle fondamenta dagli smottamenti del terreno. A Pietra Ligure le acque trascinarono via circa 20 metri di strada ferrata, interrompendo per molte ore la linea ferroviaria. A Zinola il torrente Quiliano straripò e, dopo aver abbattuto un buon tratto del muro di cinta del Cimitero, inondò l’intera area del Camposanto, devastandola; poi, premendo con forza immane, le acque del Quiliano, fecero crollare il ponte in ferro della linea ferroviaria e quello in legno sulla strada provinciale, da poco finito di costruire dalla Ditta Torcello, trascinando in mare alcuni carri; resistette, invece, il vecchio ponte cinquecentesco (tuttora esistente), che risultò così essere per alcuni giorni l’unica possibile via di comunicazione tra Vado ed il capoluogo. Un giovane diciannovenne, Vittorio Ciciliot, originario di Udine ed abitante a Zinola, località dove viveva da qualche tempo insieme al padre e a tre sorelle, fu travolto dalle acque del Quiliano e, trascinato in mare, scomparve tra le onde del mare in tempesta. Il ragazzo, come scrisse “Il Letimbro”, fu «vittima del proprio coraggio e della propria abnegazione». Sorpreso dall’infuriare del temporale mentre si trovava in compagnia dell’amico Augusto Ottonello, il giovane si era diretto verso la propria abitazione correndo sulla spiaggia. Giunti a Zinola, l’inondazione del Quiliano travolse l’Ottonello, trascinandolo via. Vittorio Ciciliot tentò immediatamente di salvare l’amico lanciandosi in suo soccorso, ma non riuscì ad afferrarne la mano e venne anch’egli sopraffatto dall’impeto delle acque. Accorsero altri quattro giovani di Zinola che, subito, misero una barca in mare e, a forza di remi, cercarono di raggiungere i due sfortunati ragazzi. Un’altra barca seguì la prima pochi istanti dopo. Mentre Ottonello venne fortunatamente tratto in salvo, per Ciciliot non vi fu nulla da fare: il giovane sparì tra le onde e, nel pomeriggio del 28 settembre, il suo cadavere, con il viso reso irriconoscibile dagli urti contro gli scogli, venne rinvenuto a circa centro metri dalla spiaggia di Zinola da un certo Traverso.
Se nelle località vicine la situazione era a dir poco disastrosa, a Savona non c’era certo di che stare allegri. Poco dopo il mezzogiorno del martedì 25, non appena la piena del Letimbro fece il suo ingresso in città superando l’abitato di Lavagnola, il ponte in legno allora esistente che metteva in collegamento via delle Trincee con corso Ricci venne travolto ed abbattuto in pochi istanti. La stessa sorte subì anche un altro ponte in legno, situato vicino al mulino Aonzo, alla foce. Lo stesso ponte alla Consolazione venne subito dopo chiuso e sbarrato da un cordone di carabinieri nel timore di un crollo imminente e per impedirne l’accesso ai numerosi curiosi che avevano cominciato ad affollarvisi per osservare meglio lo straordinario, inusuale e terribile spettacolo del Letimbro in piena. A causa delle piogge incessanti e a carattere torrenziale, in breve tempo, molte strade cittadine finirono per essere quasi completamente allagate.
Ma la catastrofe vera, perché di catastrofe si trattò, si ebbe al Santuario e a Lavagnola. Fin dalle prime ore della mattinata di quel tremendo 25 settembre il Letimbro era andato gradatamente ingrossandosi. Le lavandaie di Lavagnola più anziane, che ricordavano ancora con terrore le rovine causate dall’ultima alluvione del 1858, furono le prime ad avvisare la popolazione della zona dell’imminente pericolo. Le acque, scendendo impetuosamente dalle colline, trascinavano con sé una quantità impressionante di rami, tronchi d’albero e detriti di vario genere. Poco dopo mezzogiorno, il torrente in piena ruppe gli argini all’altezza della seconda Cappelletta e, scorrendo impetuosamente lungo la strada carrozzabile, inondò rovinosamente la borgata di Lavagnola, arrivando all’altezza del primo piano delle case. Trovandosi in una sorta di conca naturale, l’intero abitato prospiciente la piazza e la strada principale si trasformò in pochi minuti in una specie di allucinante lago artificiale. La gente, spaventata, per sfuggire all’impeto dello scorrere turbinoso delle acque del torrente, si rifugiò nei piani alti delle loro abitazioni. Tutte le botteghe e le cantine furono invase e devastate. I più danneggiati furono i bottegai che nei magazzini sulla piazza tenevano depositati gli ingenti carichi di uva importata dal Piemonte. Andarono distrutti il panificio di Gaetano Botta, le osterie di Giobatta Bertolotto e di Lorenzo Carlevarini, la drogheria dei fratelli Canepa e i negozi di Ignazio Bazzano e Cesare Schiappacasse. Poco oltre l’abitato di Lavagnola, la galleria ferroviaria, lunga circa 600 metri ed estesa dalla Chiesa parrocchiale al ponte Mamberto, crollò in diversi punti restando ostruita dal terriccio e dai massi per alcuni giorni. Nei tre giorni successivi, poi, a causa delle piogge incessanti, la strada per il Santuario franò in numerosi punti, rendendo praticamente impossibile il passaggio ai pedoni e alle carrozze. Crollò il ponte del Livello e, lì nei pressi, anche uno dei baracconi della segheria Piccardo. Il mulino Lavagna, vicino alla quarta Cappelletta, andò quasi distrutto. Il ponte di Riborgo, presso San Bernardo, costruito in ferro negli ultimi anni dell’Ottocento, fu abbattuto in pochi minuti. Al Santuario le acque inondarono il paese, allagando la Trattoria del Santuario fino all’altezza di circa due metri. L’acqua entrò anche all’interno della stessa Chiesa, arrecando, fortunatamente, danni insignificanti.
Nella piana di Lavagnola e al Santuario, a partire dalla mattina del 27 settembre, giunsero in forze numerosi carabinieri, guardie, pompieri, due compagnie di soldati del 43° Fanteria di stanza a Savona, tanti membri delle Società di Pubblica Assistenza Croce Bianca e Croce d’Oro e moltissimi volontari, tutti armati di zappe e di pale per rimuovere l’immenso strato di fanghiglia che aveva invaso le strade e le case devastate dall’immenso disastro. In quella stessa mattina del 27 settembre arrivarono a Lavagnola anche tutte le massime autorità civili e militari della città per dirigere le operazioni di soccorso alla popolazione. E fu proprio quel giorno, mentre si organizzavano i primi soccorsi, che, per un tragico caso del destino, avvenne la disgrazia che più sarebbe stata associata, negli anni successivi, a quella terribile alluvione del 1900. Proprio per questo, crediamo, è giusto darne estesa narrazione.
La mattina del 27, dunque, giunsero nella borgata di Lavagnola le autorità civili e militari per dirigere i primi aiuti e dare gli ordini indispensabili per risolvere le situazioni più difficili. In quella concitata mattina, sulla piazza di Lavagnola, chi più si distinse e si prodigò nel tentativo di stabilire il da farsi e di fornire gli aiuti più efficaci alla popolazione della borgata fu l’Avvocato Giovanni Battista Berlingieri, da appena un mese decaduto dalla carica di Sindaco. Nato il 7 maggio 1852, uomo politico e giurista tra i più noti e conosciuti in città, già insegnante di economia politica e di scienza delle finanze presso l’Istituto Tecnico “Leon Pancaldo”, Giovanni Battista Berlingieri era diventato Sindaco di Savona il 10 aprile 1897 ed aveva retto tale carica fino a quando, il 24 agosto 1900, gli era succeduto l’Avvocato Giuseppe Astengo (1855 – 1936), zio di quel Cristoforo Astengo che sarebbe stato fucilato dai nazifascisti il 27 dicembre del 1943. L’aspetto della piazza di Lavagnola, dove le acque faticavano a defluire, era a dir poco desolante: un’immensa quantità di fango riempiva le strade e le case; numerosi tronchi d’albero, massi ed altri detriti ostruivano la via principale e occupavano persino l’interno delle botteghe. Ma le notizie più preoccupanti parevano riguardare il Santuario. Per questo, per verificare la situazione ed accertarsi dei danni causati in quel luogo dall’alluvione, nel primo pomeriggio di quel giorno si recarono separatamente al Santuario prima l’Assessore Ing. Alessandro Martinengo con il Dottor Vincenzo Meirocco ed otto pompieri, poi, a cavallo, lo stesso Avvocato Giovanni Battista Berlingieri con un garzone, e, più tardi, il Generale Moni, il figlio di questi ed il Colonnello Comandante il 43° Reggimento. Il Sindaco di Savona, Giuseppe Astengo, dopo essersi recato nella mattinata a Lavagnola, preferì invece far ritorno in Municipio, a Palazzo Gavotti, per meglio coordinare tutte le operazioni di soccorso. Per tutto il pomeriggio di quel 27 settembre Berlingieri e i suoi compagni si preoccuparono di dare le necessarie disposizioni agli uomini di truppa e ai pompieri lì presenti. Poi, prima che iniziassero a scendere le prime ombre della sera, continuando a piovere a dirotto ed avendo constatato all’andata come la strada fosse in parecchi punti minacciata da frane e smottamenti, il Berlingieri, il Martinengo, il Generale con il figlio, il Colonnello ed il Sottotenente che aveva condotto il drappello di truppa al Santuario decisero di affrettare il ritorno a Savona. Messisi in cammino, poco prima del Cimitero il gruppo incrociò il conducente Astengo a bordo di un carro tirato da tre muli robusti: lo stesso carro con il quale, nel primo pomeriggio, l’ex Sindaco Berlingieri era riuscito ad attraversare la borgata di Lavagnola completamente allagata e che poi, sempre per ordine di Berlingieri, aveva faticosamente risalito la strada per giungere al Santuario dove avrebbe potuto essere di una qualche utilità. L’Astengo offrì con insistenza i suoi muli alla comitiva, affinchè, cavalcando, potessero raggiungere Savona con minor difficoltà. Ma ai sei parve preferibile e più sicuro far ritorno in città a piedi. Proseguendo il cammino, nei pressi di San Bernardo il gruppo incontrò un drappello di guardie e carabinieri, cui il Generale Moni diede disposizioni per rendere possibile il passaggio sul ponte. Giunti poi nei pressi della segheria Piccardo, si fece incontro al gruppo il proprietario di quest’ultima; mentre il resto della comitiva proseguiva per Savona, il Berlingieri ed il Martinengo si attardarono a parlare con Giacomo Piccardo: egli disse loro dei gravi danni subiti dalla sua azienda a causa dell’alluvione e li pregò altresì, giunti a Savona, di trasmettere un telegramma alla sua famiglia a Voltri per informare i suoi cari delle sue buone condizioni di salute. Separatisi dal Piccardo, essendosi fatto ancor più buio, sotto il cadere della pioggia incessante, Berlingieri e Martinengo si affrettarono lungo la strada per Lavagnola nel tentativo di raggiungere i compagni, procedendo in silenzio, Martinengo davanti, Berlingieri dietro. Ad un certo punto, nei pressi della metà della strada tra Savona ed il Santuario, Martinengo si accorse che il compagno non gli era più vicino. A quel punto, non scorgendolo, iniziò a chiamarne il nome, non ottenendo risposta. L’unica possibilità, pensò allora Martinengo, era che, a causa del buio, senza che egli se ne fosse accorto, Berlingieri lo avesse sorpassato. Nella speranza che la sua ipotesi fosse fondata, l’Ing. Martinengo si mise dunque a correre affannosamente e, poco dopo, riuscì a raggiungere gli ufficiali che lo precedevano; non appena si ricongiunse con questi, chiese subito loro se avessero visto Berlingieri, ottenendo una risposta negativa. Di fronte alla crescente preoccupazione del Martinengo, il Generale Moni cercò di confortarlo dicendo che, a suo modo di vedere, nel frattempo, sicuramente l’ex Sindaco Berlingieri doveva aver trovato riparo in qualche casa posta sulla strada. Mentre i quattro ufficiali raggiungevano Lavagnola, l’Ing. Martinengo, sempre più inquieto, decideva di tornare da solo sui suoi passi alla ricerca del compagno scomparso. Percorse così tutta la strada fatta fino al punto in cui si era separato dal Piccardo, gridando ad alta voce il nome dell’amico, ma non ottenne nessuna risposta. A quel punto, poiché si era fatto ormai scuro, egli decise di far ritorno a Lavagnola e di dare l’allarme, dando così l’avviso della scomparsa del Berlingieri. Si formò subito un drappello di soccorso costituito da due guardie, tre soldati, due carabinieri ed un giovane volontario, muniti di torce e lanterne, per cercare attivamente ovunque, sulla strada, lo sfortunato Avvocato e con la consegna, giunti al Santuario, di telegrafare in città per informare del risultato delle loro ricerche. Dopo alcune ore di febbrile attesa, alle dieci di sera, al Comando di Savona, giunse notizia che il gruppo di soccorritori non aveva trovato traccia del disperso. Le ultime speranze che Giovan Battista Berlingieri avesse trovato rifugio in qualche isolato casolare di campagna andarono definitivamente deluse il giorno dopo: di lui, purtroppo, non c’era traccia da nessuna parte. Era letteralmente svanito nel nulla. A quel punto, inevitabilmente, si avanzò nelle menti di tutti la più tragica delle ipotesi: seguendo Martinengo, sotto la pioggia, Berlingieri doveva aver messo un piede in fallo e, probabilmente, doveva essere caduto nelle acque del Letimbro in piena, venendo così trascinato verso il mare. Un tragico sospetto che divenne purtroppo realtà quando, alcuni giorni dopo, il 2 ottobre, il cadavere di un uomo dell’apparente età di circa 45 anni fu rinvenuto in balia delle onde, in alto mare, al largo del porto di Mentone, da due giovani marinai, Enrico Pastore e Giulio Otto, che stavano bordeggiavano la costa a bordo di un battello. Nonostante il viso dell’uomo fosse deturpato dall’azione corrosiva dell’acqua del mare e dalle lesioni causate dai ripetuti urti subiti contro gli scogli, tutti gli indizi lasciarono immediatamente ben intendere di chi si trattasse: la statura di un metro e settanta, la corporatura regolare, la barba castana divisa sul mento, il vestito color cenere-scuro e una camicia azzurrognola a quadri con cordoncino di seta per cravatta, la biancheria con le iniziali «G. B.», l’anello all’anulare sinistro recante la scritta «Mater Misericordiae Savonae» e l’orologio d’argento, rinvenuto in una tasca del panciotto, segnante le 18.25, l’ora della scomparsa dell’ex Sindaco, non potevano lasciare dubbi sull’identità del defunto. Subito partirono alla volta di Mentone E. Cheti, cugino del defunto, e lo stesso Ing. Alessandro Martinengo, delegati dalla moglie di Giovan Battista Berlingieri, signora Acquarone, per effettuare il riconoscimento della salma del marito. Riconoscimento che venne regolarmente effettuato pochi giorni dopo, nelle stesse ore in cui, il 4 ottobre, per un tragico caso del destino, il fratello di Giovan Battista Berlingieri, Sebastiano Berlingieri, D
irettore dell’Ospizio dell’Infanzia Abbandonata di Savona, cessava di vivere a Spotorno, al termine di una lunga e dolorosa malattia.
Effettuata l’8 ottobre una solenne, pubblica commemorazione in Comune tenuta dal Sindaco Giuseppe Astengo e dall’On. Paolo Boselli, la salma di Giovan Battista Berlingieri arrivò nel porto di Savona alle dieci circa del successivo 10 ottobre, sbarcata da un rimorchiatore che ne aveva curato il trasporto dalla vicina Mentone. Accolto da una folla immensa, alla presenza di tutte le massime autorità civili, militari e religiose della città, il feretro fu trasportato nella vicina Chiesa di Sant’Andrea: qui si tennero i funerali del defunto ex Sindaco di Savona, celebrati da Monsignor Giuseppe Rosselli.
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I funerali di Giovanni Battista Berlingieri

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Alla memoria di Giovanni Battista Berlingieri è oggi dedicata una strada di Savona: la via che congiunge via Famagosta con piazza Leon Pancaldo, già via del Pozzetto.
Giuseppe Milazzo

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