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Perché si dice così…

Fare orecchie da mercante. La locuzione è attestata nell’italiano scritto sin dal secolo XIV e viene usata per indicare qualcuno che non presta attenzione, finge di non sentire ciò che torna comodo. Questa forma di interessata, falsa sordità era generalmente attribuita ai mercanti, nelle affollate e rumorose fiere paesane di un tempo. L’espressione a livello letterario la si ritrova nei Promessi sposi manzoniani. Nel quarto capitolo, Manzoni presenta la figura del padre di Lodovico (colui che, presi i voti, diverrà fra’ Cristoforo), un mercante che «aveva rinunziato al traffico, e s’era dato a viver da signore», badando a far dimenticare di aver praticato quell’attività, che sentiva ormai come «una gran vergogna». Dunque – racconta il Manzoni – un giorno, al termine di uno dei banchetti che il padre di Lodovico era solito apparecchiare per numerosi festanti convitati, egli «andava stuzzicando, con superiorità amichevole, uno di que’ commensali, il più onesto mangiatore del mondo. Questo, per corrispondere alla celia, senza la minima ombra di malizia, proprio col candore di un bambino, rispose: – eh! io fo l’orecchio del mercante -».

Ai tempi in cui Berta filava. Il detto vuol dire “in tempi lontanissimi” e indica il periodo non solo molto antico ma anche quello che non c’è più, finito. La leggenda dice che era Berta la Piedona, moglie del re francese Pipino il Breve e madre di Carlo Magno. Adenet le Roi, il trovatore vissuto attorno al 1275, ha scritto un poema la cui protagonista era Berta la Piedona, chiamata così perché aveva un piede più lungo dell’altro. Il poema racconta che durante il viaggio per raggiungere il futuro sposo la principessa Berta è stata sostituita con la figlia della sua dama di compagnia, ma è riuscita a fuggire e ha trovato asilo nella casa di un taglialegna presso il quale ha vissuto per qualche anno, facendo il lavoro di filatrice. Poi, grazie alla particolarità di piedi diversi, la sostituzione è stata scoperta e Berta ha preso il suo posto sul trono francese. Da allora Berta la Piedona è patrona delle filatrici. L’altra leggenda dice che Berta in questione era una certa vedova Berta, molto povera ma molto devota al suo re. Un giorno ha filato una lana sottilissima e l’ha donata al sovrano. E lui, saputo della sua povertà, le ha regalato tanti soldi e garantito una vita sicura e comoda. Quando i sudditi del re, saputo di questo gesto così generoso, hanno cominciato a donargli filati pregiati ma il sovrano ha risposto a tutti: “Non sono più i tempi che Berta filava”.

E’ inutile piangere sul late versato. Il significato di questa espressione vuol dire che è inutile disperarsi e lamentarsi dopo aver commesso degli errori che non si possono annullare e riparare, è inutile rimuginare su cose che sono oramai accadute, tormentandosi quando praticamente è troppo tardi. Probabilmente questo proverbio ha origini molto antiche, ai tempi antecedenti alla produzione industriale quando il latte era considerato un alimento raro, costoso e prezioso alla nutrizione, per cui, il suo spreco poteva arrecare dei forti rimorsi. Nei tempi moderni il nesso di questa espressione è legato al fatto che il latte, dimenticato a bollire sul fuoco, fuoriesce dal tegame che lo contiene e poi si incrosta sul fornello. Chiaramente ciò è avvilente per chi dopo deve pulire, se ci fosse stata più attenzione e meno distrazione si sarebbe evitato il disastro. Quindi, occorre pensare bene a ciò che si fa, prima di fare cose sbagliate.

Fare i conti senza l’oste. La frase viene usata per rivolgersi a qualcuno abituato a prendere decisioni affrettate, che non tengono conto delle volontà altrui e di un eventuale rifiuto. Ciò perché un tempo le osterie erano luoghi molto frequentati da viaggiatori e non solo e la fama degli osti nell’organizzare imbrogli ed essere capaci di sostenerli abilmente durante la presentazione del conto era largamente diffusa. A fine pasto, dopo aver calcolato da sé il conto, il cliente si trovava puntualmente contraddetto dall’oste che gli chiedeva altre indicazioni di spesa e vanificava il suo sforzo di calcolo preventivo.

Render Pan per Focaccia. La frase è riferita a chi ricambia con eguale o maggiore asprezza una offesa, un torto o un danno ricevuti. L’origine del motto è sconosciuta, ma già nell’antica Roma erano in uso similari sentenze come «Par pro pari referre», «Par pari hostimentum dare» o «Nulli nocendum: siquis vero laeserit, multandum simili iure». Il detto deriva probabilmente da una usanza dei viandanti medievali che portavano con sé un pane fatto con cereali poveri, anziché con il frumento, poco lievitato, quindi duro ma facilmente trasportabile in quanto ammuffiva difficilmente e poteva essere inzuppato nelle varie zuppe  preparate lungo il viaggio. Questi pani venivano cotti direttamente sulla brace e perciò chiamati focaccia (da focacius cotto sul fuoco) ed erano un prodotto molto meno pregiato del pane vero e proprio fatto con  farina di frumento, quindi “rendere pan per focaccia” significa proprio ricambiare un torto. Si trova traccia di questo modo di dire già nell’antica Roma e nell’ottava novella del Decamerone dove la moglie di Zeppa dice alla moglie di Spinelloccio “Madonna, voi m’avete renduto pan per focaccia”.

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