Un altro pezzo della nostra Italia, quella importante, se n’è andata lo scorso 19 maggio. A Roma, al termine di una lunga malattia, si è spento Marco Pannella.
In questi giorni, su di lui, si è detto ed è stato scritto di tutto. E i commenti buonisti, quelli superficiali, da panna montata, che non vanno al fondo delle cose, ma tendono a redarre, dei defunti, dei ritrattini, delle immaginette, quasi da Figurine Panini, si sono sprecati. Tutto ciò che, di provocatorio, aveva fatto il Marco, negli anni ruggenti delle contestazioni in piazza e delle polemiche in TV, quando andava in onda imbavagliato e col cartello al collo per denunciare le censure del regime partitocratico o quando si recava nelle piazze a distribuire piantine di marijuana, e che tanto lo avevano reso celebre (e ce lo avevano fatto amare, negli anni Settanta) è passato incredibilmente sotto silenzio. Si è preferito raccontare un altro Pannella, una sorta di “Mahatma Marco”, un combattente disarmato di ogni lotta pacifista, amico del Dalai Lama e di Papa Francesco, dedito al vizio del fumo e al libero amore, quasi fosse stato un fricchettone hippy attempato che non si era accorto che Woodstock era terminato da quasi mezzo secolo. Chissà che cosa avranno capito, i ragazzi di oggi, che di Pannella non avevano pressoché sentito parlare, sentendo certi servizi televisivi… Per fortuna, alla fine, a rimettere tutti in riga, è arrivata la Bonino che, al “funerale laico” in piazza Navona, ha denunciato il clima da “Marco santo subito” che si era creato, dicendo a chiare lettere ciò che in molti pensavano: e cioè che gran parte delle commemorazioni che erano state fatte puzzavano di ipocrisia lontano un miglio.
La verità, anche questa volta, dalla sua pagina facebook, l’ha detta Vasco Rossi: Marco Pannella era un «anticonformista», uno che si era sempre battuto «contro l’ipocrisia. Un provocatore di coscienze. Decisamente Rock»: un idealista, insomma, che dello «s-bigottismo» aveva fatto la sua ragione di vita e che si era sempre battuto per «abbattere il pregiudizio», per «sospendere il giudizio», per la «tolleranza», per l’«anticlericalismo e (cosa non da poco…)» per l’«antiproibizionismo».
Per quanto mi riguarda, pur condividendo quasi tutti gli obbiettivi e le richieste avanzate dal Partito Radicale, non l’ho mai votato e, spesso, ho trovato un po’ confuse e contraddittorie molte sue affermazioni. Credo di non essere stato il solo, negli anni passati ad averla pensata così. Eppure c’era da entusiasmarsi a vedere le provocazioni di Pannella, a vedere con quanta passione si batteva per il rispetto dei diritti civili, per il divorzio, per l’aborto, per una condizione di vita dignitosa dei detenuti nelle carceri italiane. Come dimenticare le sue lotte per una “Giustizia giusta”, in difesa di un Enzo Tortora o di qualche altro povero cristo morto in condizioni “misteriose” mentre si trovava temporaneamente detenuto in qualche cella del Paese? Giustamente, Emma Bonino, a piazza Navona, ricordando il suo compagno di tante battaglie e rimproverando la grande folla intervenuta, ha esclamato: «Dovevate amarci di meno e votarci di più!». Ha avuto ragione, ragione da vendere a pronunciare quelle parole. Però, ed è un fatto, quando ci si trovava nella fatidica cabina elettorale, con la matita in mano, difficilmente si finiva per tracciare una croce sul simbolo della rosa nel pugno. Così il Partito Radicale non riusciva mai a superare la soglia del 2%, finendo per esser rappresentato, in Parlamento, dai soliti quattro gatti: la Bonino, Pannella, Spadaccia e Adele Faccio. Credo che, alla fine, ciò che lo abbia reso, agli occhi di molti, poco credibile, e che, alla fine, gli ha impedito di ottenere quel consenso elettorale che, probabilmente, avrebbe meritato sia proprio stato il suo modo di proporsi, le modalità delle proteste messe in atto da lui e dai suoi compagni di lotta, il suo essere, in una parola, “eccentrico”. La sua comunicativa istrionica, il suo voler essere protagonista, quasi “mattatore”, se da un lato ha precorso, e di gran lunga, i tempi, anticipando il modo di far politica della seconda Repubblica, dall’altra ha forse messo in ombra le reali e giuste motivazioni di tante sue lotte, allontanandogli i voti di molti Italiani: e ciò perché agli occhi di tanti, soprattutto a Sinistra, proprio per il suo modo di condurre le sue lotte, per quel suo modo di rendere la politica “uno spettacolo”, Pannella non era considerato “un vero politico serio”. L’esser stato, agli inizi, Presidente dell’Unione Goliardica Italiana, lo aveva forgiato nei modi e nel carattere. Quel suo sbeffeggiare tutto e tutti, quel suo mettere il Palazzo alla berlina, e con esso tutti i suoi personaggi e le sue comparse, se divertiva e faceva sorridere, non era però considerato, alla fine, rassicurante e convincente, in un’epoca, quali erano gli anni Settanta e Ottanta, in cui continuavano ad esistere le fedi politiche e le ideologie. Ideali in cui si credeva ancora, allora, a volte fermamente.
Oggi, è facile dire: aveva ragione lui. Probabilmente Pannella ha appartenuto a quella sparuta schiera di personaggi fuori posto nell’epoca in cui hanno vissuto, nati decenni prima del tempo a loro destinato. Se fosse sceso oggi nell’agone politico, forse, avrebbe fatto il botto.
Negli ultimi anni, ai miei occhi, le contraddizioni del personaggio si erano fatte più evidenti. Sarà stato per l’età avanzata, o forse per umane debolezze, certo che la sua caratteristica principale, l’irrisione nei confronti di ogni forma di potere, si era di molto appannata. L’elogio finale di Papa Francesco fa il paio con le foto scattate con il Dalai Lama, con Berlusconi e con Renzi negli ultimi mesi della sua vita. Quell’odio-amore per il potere, quel continuo dissacrare la televisione e, contemporaneamente, lamentarsi per non venire mai intervistato dai telegiornali di mamma RAI o chiamato nei talkshow, secondo me, rappresenta bene la contraddittorietà del personaggio.
Mentre scrivo queste righe, mi torna alla mente il ricordo di un comizio tenuto da Pannella una domenica mattina dell’83 in piazza Sisto IV. Ero andato, come tanti altri ragazzi di allora, per sentirlo e per vederlo, incuriosito dalla sua comunicativa e dai suoi modi imprevedibili. Ci ritrovammo in trecento, sì e no, a sentirlo, quel giorno, e faceva pure freddo, tanto freddo. A quel tempo era Sindaco Zanelli e non esistevano ancora, sulla piazza, né i loculi né la tragica pensilina del tram che il buon Gervasio avrebbe fatto costruire una quindicina di anni dopo. E non c’erano neppure le fioriere, che avrebbero “abbellito” la piazza alla fine di quel decennio. Ricordo che Pannella salì su un palco di legno, allestito alla buona sulla piazza, dirimpetto all’ingresso principale del Comune. Nonostante non si fosse presentata una folla oceanica, il Marco – che allora era davvero popolarissimo – non si perse d’animo e afferrò il microfono. La sua voce, familiare a tutti coloro che seguivano Tribuna Politica, iniziò ad esser diffusa dagli altoparlanti sulla piazza. E subito, ricordo benissimo, partirono i suoi strali e i suoi improperi, diretti contro chi, a Savona, aveva sempre votato per lo stesso partito: il P.C.I. Le sue parole furono accolte da qualche mugugno dagli anziani portuali presenti che, sentendosi ovviamente offesi, si allontanarono immediatamente dalla piazza.
Ad ogni modo: il Pannella aveva appena iniziato a parlare, attaccando come di consueto Fanfani, Andreotti e tutta la Democrazia Cristiana, che qualcuno, tra la folla, iniziò a fischiare rumorosamente, emettendo insopportabili suoni striduli con un fischietto da stadio.
«Chi mi interrompe è un fascista, un comunista, un totalitario!!!» gridò Giacinto Pannella detto Marco.
E giù di nuovo coi fischi, questa volta accompagnati da un lancio di alcuni rotoli di carta igienica.
«Ancora! Siete proprio dei fascisti! Vergognatevi, togliete la parola ad un rappresentante del popolo, ad un vero democratico! Solo nell’Unione Sovietica di Breznev possono succedere cose simili… Che schifo! Me l’avevano detto che Savona è una città comunista!»
Le proteste del Pannella non ottennero esito alcuno. I fischi si fecero ancora più forti, sempre accompagnati da rotoli di carta da gabinetto.
A quel punto il povero Pannella, temendo di non poter portare in fondo il suo comizio, si mise ad urlare come un ossesso: «Vergogna! Vergogna! Vergogna! Questo è un attacco alle libertà democratiche! Chi porta avanti queste continue interruzioni non può che essere un comunista, un fascista, un servo degli U.S.A. e del capitalismo… Ma io non mi lascio intimidire… Che venga qui, sul palco, a farsi sentire, ad esporre le sue ragioni chi osa interrompermi, chi mi toglie la parola su una pubblica piazza… Gli cedo il microfono… Ma non ne avrà di certo il coraggio, perché simili provocatori non osano mai mostrarsi, dopo aver attentato alle libertà costituzionali!»
Fu a quel punto che il mitico Giorgio Mantovani – all’epoca rappresentante d’istituto al Liceo Scientifico di Savona – si tolse il fischietto dalla bocca e, smettendo finalmente di rompere a tutti le balle con i suoi insopportabili suoni spaccatimpani, colse l’occasione della sua vita: sgattaiolando tra i presenti e facendosi largo con decisione, raggiunse il palco e, travolto dall’entusiasmo, fece a due a due gli scalini che lo separavano dal Segretario del Partito Radicale.
«Marco! Marco! Sono io, sono il Mantuvàn!» esclamò quando se lo trovò davanti. «Sono anni che aspetto questo momento! Sono mesi che ti scrivo! Le hai ricevute le mie lettere? Te le hanno date? Mamma mia, non mi sembra vero, sei davvero tu… Sei più bello dal vivo che in TV… Sono io, il Mantovani, sono il responsabile del Collettivo di via Pia del Partito Radicale, ti ricordi di me? Quegli stronzi dei radicali di Genova non riconoscono il mio ruolo e dicono che non ho diritto di rappresentare il Partito! Marco, aiutami, solo tu puoi dirlo a tutti che io sono un vero radicale, non come quelli lì che ti trovi vicino, quei rinnegati che sono lì, accanto a te… cacciali via, fa’ pulizia…»
Ammiravo enormemente Mantovani. Era simpaticissimo, un tipo divertente come pochi, e a scuola si era guadagnato la stima ed il rispetto di tutti i miei compagni di scuola, durante le assemblee d’istituto, irridendo, ogni volta, i suoi colleghi rappresentanti che ci intontivano con discorsi lunghissimi, pieni zeppi di riferimenti ideologici e di frasi fatte che, sostanzialmente, non volevano dir nulla.
Solo lui avrebbe potuto fare una cosa simile, in quegli anni, a Savona, durante un comizio!
Grande, quindi, fu lo stupore che si dipinse sul viso del povero Marco mentre il suo irriducibile fan pronunciava il suo pistolotto. Restò letteralmente a bocca aperta, con la mandibola che crollò verso il basso, attratta inesorabilmente dalla forza di gravità.
Con fare sconsolato, dopo un attimo di esitazione, mentre sul palco si scatenava un tremendo incontro di pugilato tra il Mantovani e i suoi avversari nel Partito Radicale, il povero Pannella prese il microfono e, rivolgendosi ai presenti sulla piazza, con voce mesta, disse: «Vedete, cari amici, noi non siamo come gli altri Partiti: noi, i panni sporchi, ce li laviamo in pubblico!!!»
Sicuramente, a ripensarci oggi, fu il comizio più divertente cui assistetti nella mia vita.
Mamma mia, son passati 33 anni… E chissà che fine ha fatto il Mantovani… Dovunque tu sia, se leggerai queste mie righe, sappi che ai miei occhi, quella mattina sei stato un grande!
Ciao Giacinto detto Marco, con te abbiamo passato momenti indimenticabili…
Ora che sei Lassù – se davvero sei andato Lassù – realizza il capolavoro della tua esistenza: se c’è un Paradiso, facci entrare Moana Pozzi!
…Altro che Cicciolina in Parlamento…
Giuseppe Milazzo