Mentre il Geological Survey (l’agenzia scientifica per il monitoraggio dei terremoti) degli Stati Uniti pubblica la nuova previsione sul rischio sismico secondo cui il riversamento sotterraneo delle acque reflue generate durante l’estrazione di petrolio e gas con il processo conosciuto come “fratturazione idraulica” o “fracking”, sarebbe all’origine dell’aumento del rischio sismico in alcune parti del Texas e dell’ Oklahoma, in Italia si avvicina il 17 aprile, giorno indicato dal Governo per il referendum “No Triv” e il dibattito seppur molto sotto tono inizia a farsi comunque interessante. Dato l’argomento e, la poca informazione in merito, abbiamo incontrato il geologo, Michele Volpati e un rappresentante dell’ Accademia Kronos Franco Floris, da sempre particolarmente sensibile ai problemi legati all’ambiente (Santuario dei cetacei in primis) con visioni diametralmente opposte in merito all’utilità o meno della prossima competizione referendaria chiedendo loro di spiegarci i motivi per i quali sarà opportuno votare SI oppure No il 17 aprile.
Iniziamo da chi sostiene le ragioni del NO o, l’inutilità del referendum stesso, il geologo Michele Volpati:
“Si fa un referendum per votare il nulla o quasi. E’ bene informarsi prima di decidere se votare si o no, stiamo parlando di 26 concessioni in tutta Italia entro le 12 miglia (circa 24 chilometri n.d.r.). La legge ne vieta già di nuove e davanti alle coste della Liguria, ad esempio, per legge non sono previste aree di possibile ricerca neanche ben oltre le acque territoriali. Inoltre, trattando il referendum di piattaforme esistenti, e non potendo essercene delle nuove, è bene non tirar fuori il discorso ‘Airgun‘, utilizzati per le indagini sismiche e la ricerca di giacimenti e quindi ante-concessioni. Gli Airgun non ammazzano, sono cannoni che non sparano, creano bolle d’aria che generano onde sismiche. Vengono utilizzati per indagare la crosta terrestre in mare. Nel 1995 ad esempio vennero utilizzati dall’Università di Genova, Napoli e Villefrance sur Mer per indagini sulla crosta profonda del Mar Ligure nel bel mezzo del Santuario dei cetacei (istituito nel 1991), nel 1996 li abbiamo usati per una settimana tutti i giorni davanti ad Alassio e Andora…mi sembra che i pesci siano rimasti…no? Mi sembra comunque sbagliato legarli a piattaforme esistenti. L’unico incidente su piattaforme invece risale al 1965 a Ravenna, aggiungere che in Italia siamo stra dipendenti da gas e petrolio è superfluo…D’accordo sull’aumento del prezzo per le concessioni, tutto questo ‘rumore’ su un referendum sul nulla o quasi mi sembra un pò eccessivo“.
Queste le parole affidate con un post al suo profilo facebook dal primo cittadino di Casanova Lerrone che ha accettato di approfondire per noi in qualità di geologo, la questione relativa ai danni presunti o reali provocati dalle trivellazioni o meglio dagli “Airgun” (cannoni ad aria).
Già, perchè pare che il problema derivi essenzialmente da questo sistema che, come spiegato da Volpati crea onde d’urto che una volta raggiunto il fondale marino generano onde sismiche registrabili dai sismometri a terra (o sulle navi). Gli Airgun originano forte “rumore” con disturbi anche importanti alla fauna ittica. Vengono utilizzati per prospezioni e studi accademici sulla crosta terrestre ai quali lo stesso geologo ha partecipato. Si tratta del metodo scientifico migliore per ottenere dati in mare, mentre per quanto riguarda i danni, il parere di Volpati è che essi non siano assolutamente permanenti, ma anzi, sostenibili dall’ambiente in termini di costi-risultati e benefici.
Durante la perforazione vengono utilizzati fanghi detti “di perforazione” che sono di tre tipi, a base di idrocarburi, a base d’acqua e misti. I primi in Italia sono vietati e sarebbe opportuno consentire l’uso solo dei secondi. Nel corso della perforazione si può produrre acqua mista a idrocarburi, situazione che, nel caso si verificasse potrebbe creare un inquinamento di metalli pesanti sui fondali per questo motivo la perforazione deve procedere lentamente, controllata e riducendo al limite tale produzione. Inoltre, durante lo sfruttamento del giacimento vengono introdotte ampie quantità di acqua al fine di mantenere costante la pressione nella cavità che ospita il giacimento stesso. Anche in questa fase è necessario procedere secondo protocolli certi e tarati sul giacimento stesso onde evitare di disperdere l’acqua mista a idrocarburi o gas nel mare.
Esistono anche i cosiddetti rischi di subsidenza (movimento di abbassamento continuo o discontinuo della superficie deposizionale sottomarina) e depressioni in mare che però dovrebbero essere valutati e risolti già nel corso della fase di studio del giacimento. Poi ci sono i rischi noti, quelli strutturali ad esempio, che possono danneggiare sia le piattaforme sia le condotte utilizzate per trasportare gli idrocarburi e il gas fino alle varie zone di carico o a terra. In Italia questi incidenti sono stati sempre molto rari e non hanno mai comportato danni ambientali rilevanti. Ultimo tipo di rischio, quello da “Blowout” di gas o petrolio dovuto alla eccessiva pressione, la rottura di valvole e la conseguente fuoriuscita di idrocarburi e gas.
Ecco la mappa dei maggiori incidenti a livello mondiale, come si può vedere in Italia non sono segnalati incidenti con sversamenti in mare da piattaforme ma solo il naufragio della Haven avvenuto nell’ aprile del 1991 davanti a Voltri.
Riguardo alle energie alternative, tema inevitabilmente connesso al referendum No Triv, Michele Volpati sostiene invece che il dipendere ancora troppo dai combustibili fossili sia un dato di fatto ricordando, senza peraltro entrare nel merito, come in passato sia stato abbandonato il nucleare mentre oggi si tenti di abbandonare le piattaforme “offshore” all’interno delle nostre acque territoriali (le famose 12 miglia dalla costa).
“Si, è vero – dice il geologo ligure – la produzione di idrocarburi e gas nelle nostre acque è minima rispetto al fabbisogno, ma allora bisognerebbe incrementare realmente e con una normativa adeguata, lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Abbiamo bisogno di energia ma quanti paletti ci sono per installare ad esempio una pala eolica? Ai fini della produzione e dell’impatto ambientale quello, insieme ai pannelli solari, dovrebbe essere il futuro della nostra regione. per quanto riguarda l’idroelettrico invece, in Liguria non esiste la reale possibilità di produrre energia in questo modo in grande scala e, anche per giungere alla realizzazione di piccole centrali sui nostri torrenti, le leggi attuali comportano tempistiche che variano tra i 5 e i 10 anni, un pò troppo per pensare di incoraggiare eventuali investitori. Pertanto mi chiedo: se il nucleare è pericoloso, il petrolio inquina, la pala eolica deturpa il paesaggio come pure fa un campo di pannelli solari, cosa possiamo fare? Non è forse meglio vedere una pala eolica che inquinare il pianeta? e in ogni caso, fino a quando le automobili andranno a benzina il rinnovabile potrà solo essere di “aiuto“, ma i combustibili fossili resteranno indispensabili“. Michele Volpati conclude ricordando che circa il 90% delle trivelle lavorano a terra, le concessioni attive interessate dal referendum come detto sono 26 delle quali nessuna in Liguria dove non ne sono neanche previste (la costruzione di piattaforme entro le 12 miglia è vietata per legge dal 2006 – comma 17 dell’art. 6 del D.Lgs 152/06 -.
Di seguito la mappa a cura del Ministero dello Sviluppo Economico che indica le aree dove ce ne sono e dove sono permesse ricerche, in attesa di ciò che uscirà dalle urne al termine del confronto referendario del prossimo 17 aprile.
Perché votare SI?…Lo abbiamo chiesto a Franco Floris:
L’ex sindaco di Andora ed attuale presidente di Area24 è da sempre sensibile alle questioni ambientali che spesso ha affrontato anche come responsabile regionale per la Liguria dell’ Accademia Kronos (Onlus), l’associazione che a partire dal 1997 ha preso in mano le redini di uno dei più importanti e antichi movimenti ambientalisti d’Europa, il ” Kronos 1991” con oltre 10000 soci e 40 sezioni e referenti territoriali in tutta Italia, l’Accademia oggi si è schierata completamente a favore del SI al prossimo referendum contro le trivelle, i motivi li abbiamo chiesti all’ ex amministratore che ha sottolineato quanto sia fondamentale ricordare subito che “i danni all’ ambiente non hanno origine dalla trivellazione in se ma principalmente dalla fase di ricerca del giacimento, quella nel corso della quale vengono utilizzati gli ormai noti Airgun, principali responsabili dei problemi all’ ecosistema marino“.
Per spiegare nel dettaglio cosa sono gli Airgun, Floris si è affidato alla definizione che ne da l’ISPRA, il nostro massimo organo di controllo scientifico governativo in ambito ambientale citato da Gianfranco Amendola, ex magistrato, esperto in normativa ambientale anch’ egli membro dell’ AK: “Gli airgun non sono altro che array di tubi d’acciaio che vengono riempiti con aria compressa e poi svuotati di colpo producendo così delle grosse bolle d’aria subacquee che, quando implodono, producono suoni di fortissima intensità e bassissima frequenza” per cui “gli Airgun e l’esplorazione geosismica sono considerati la dinamite del nuovo millennio”. Ogni 9-12 secondi un’esplosione è trasmessa in mare, ininterrottamente, per intervalli di tempo anche piuttosto lunghi (a volte per mesi interi) e diversi studi hanno messo in evidenza l’impatto comportamentale e fisiologico che l’ Airgun può esercitare sui mammiferi marini e sulla fauna acquatica. A maggior ragione in un mare come il Mediterraneo, noto per la sua biodiversità, ma anche per la sua estrema vulnerabilità all’ inquinamento, incluso quello acustico”.
Mediterraneo che oggi, tra l’altro, già risulta il mare più inquinato al mondo da idrocarburi in base ai dati riportati da Michele Boato dell’ Ecoistituto del Veneto “Alex Langer” (38 milligrammi al mc di contaminazione a fronte di 3 milligrammi di altri mari). L’Adriatico invece sarebbe il più basso e più sporco e un incidente in un mare chiuso come quello risulterebbe più devastante di quello del 2010 nel Golfo del Messico che provocò 11 morti e decine di feriti nell’ incendio della piattaforma, milioni di uccelli e pesci uccisi da almeno 5 milioni di barili di petrolio versati in mare per 106 giorni, oltre ai 19 miliardi di dollari di danni pagati dalla BP.
Durante l’appuntamento speciale di “Comunicando” andato in onda il 30 marzo su Radio Savona Sound, e dedicato al referendum, Floris ha ricordato che esistono delle soluzioni alternative all’ Airgun. La principale si chiama “vibratore marino” che seppure non costituisca una tecnologia affermata e diffusa (soprattutto a causa dei suoi costi piuttosto elevati), evidenzia alcuni vantaggi rispetto all’ Airgun che potrebbero trovare uno sviluppo futuro a garanzia di una maggiore tutela dell’ambiente marino, e di come anche economicamente non valga la pena proseguire la ricerca in questo senso.
Le ricerche e l’estrazione di petrolio e gas infatti metterebbero a rischio due attività fondamentali, il turismo, che rappresenta il 10% del Pil nazionale, con 3 milioni di addetti e la pesca con il suo 2,5% del Pil e 350mila addetti, un incidente, oltre al danno ambientale, provocherebbe la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro. E tutto per una quantità di petrolio che basterebbe, forse, a coprire il fabbisogno di 7 settimane e una di metano un po’ più consistente. Il responsabile ligure dell’Accademia, tra le altre cose, ha sottolineato anche quanto ad oggi si tratti di un “affare” solo per i petrolieri che, per vendersi gli idrocarburi, pagano allo Stato cifre ridicole (il 7-10% del loro valore): nel 2015 ad esempio sono stati versati solo 340 milioni di euro, meno dei 360 milioni che costerà organizzare il prossimo referendum separatamente dalle elezioni amministrative che pure si terranno poco più di un mese dopo! Una decisione assunta dal governo a parere di molti per evitare che si raggiunga il quorum del 50% dei votanti indispensabile per rendere valido il risultato della competizione referendaria.
Un’altra delle ragioni per cui sarebbe opportuno votare Si il 17 aprile emerse dalla chiacchierata radiofonica con Franco Floris riguarda poi il pericolo citato in precedenza della subsidenza, che, come ricorda il prof. Mario Zambon, della facoltà di Ingegneria dell’Università di Padova, ha già colpito, a causa delle estrazioni di metano, l’area di Ravenna provocando l’abbassamento della zona di più di 1,20 metri, affondando gran parte delle spiagge e costringendo a rifare tutto il sistema fognario, finito sotto il livello del mare. Le estrazioni di metano hanno sprofondato il Delta del Po, con punte di 3,5 metri nell’ area di Porto Tolle mentre Venezia negli anni 50 si è abbassata di 13 cm. A causa dei prelievi d’acqua per le industrie chimiche…
Il voto al referendum del 17 aprile sul tema delle trivellazioni petrolifere in mare, ha concluso Floris, ha ormai assunto un significato che va ben oltre il contenuto dell’unico quesito rimasto sulla durata delle concessioni per trivellare i nostri mari alla ricerca di idrocarburi. E’ un voto che chiede di scegliere tra il vecchio ed il nuovo, tra la pace con l’ambiente e la rapina delle risorse naturali, tra la ricerca del profitto privato e il soddisfacimento del benessere collettivo, tra il feticcio del Pil e la ricerca di un vero sviluppo. Senza dimenticare che nell’ enciclica “Laudato si” lo stesso Papa Francesco scrive :”I mari stanno trasformandosi in ‘cimiteri subacquei’ a causa delle attività umane… l’era del petrolio e dei combustibili fossili deve essere sostituita ‘senza indugio’ dalle energie rinnovabili”.
Franco Floris negli studi di Radio Savona Sound