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"Pasqua de Resurrezion, se mangia l'euvo pe' devozion…"

Pasqua de Resurrezion, se mangia l’euvo pe’ devozion…” (Pasqua di Resurrezione si mangia l’uovo per devozione), proprio un uovo veniva offerto la mattina del giorno di Pasqua al capo-famiglia: era simbolo di rigenerazione, della continuità e della vita. Le uova erano anche offerte ai bambini, racchiuse in cestini di pasta lievitata,i cavagnetti . I gusci delle uova a volte venivano colorati di Rosso che rappresentava il colore della vita e dell’amore. Ma l’origine della consuetudine… di regalare uova è dovuta al fatto che nel IV secolo la Chiesa proibì l’uso di uova durante la Quaresima; il precetto ne provocò un grande accumulo, che fu possibile smaltire regalando le uova come doni pasquali.
A tavola è ben noto un menù rivaleggiante in abbondanza con quello Natalizio. Si inizia con l’antipasto di “uova ripiene della fortuna”: sono uova rassodate, sgusciate e tagliate per il lungo, il tuorlo si amalgama con un poco di olio, un trito fine di capperi e olive taggiasche e si ricompone il mezzo uovo ponendo al cento una fogliolina di ulivo (benedetto la domenica delle palme) a rappresentare una piccola imbarcazione con vela che accolga ” il vento della buona fortuna”, si servono in foglie di lattuga fresca.  Ma ciò che più affascina della tradizione genovese sono le lattughe ripiene, che addirittura dettarono versi a Nicolò Bacigalupo, che afferma : “…Oh, leituga, çibbo inscipido, dimme un po’ comme ti peu diventà gustosa e sapida e ciù bonn-a dei ravieu…” (oh, lattuga cibo insipido, dimmi un po’ come fai a diventare gustosa e saporita e più buona dei ravioli…)
Un  piatto principe è la cima ripiena, con l’ivolucro preparato dai Macellai e il ripieno elaborato dalle  massaie. Il gran finale è della torta pasqualina. La torta , già in tempi antichi, giungeva sulla tavola con la gran cupola delle vaporose sfoglie sovrapposte. Furono state persino trentatrè, si afferma, per fare omaggio all’età di Gesù. Numero via via ridotto, per la fretta che contraddistingue le nostre cuoche. Gia nel 1930, infatti,  su “il Lavoro” del 20 Aprile, Giovanni Ansaldo, rimpiangeva il passato delle sue “Ventiquattro bellezze della torta Pasqualina”: “Beati coloro -osserva- che nella loro infanzia hanno imparato a comprendere cos’è una torta Pasqualina a sedici, diciotto, venti, ventidue, e fino a ventiquattro sfoglie, come noi ne vedemmo con questi occhi mortali; per essi, Marconi ed Edison si sforzavano invano di creare meraviglie nuove”. (fonte: cucina genovese)

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